martedì 15 marzo 2011

Confessio fidei...confessio vitae


Conclusione Visita Pastorale 18.01.2011

Questa è la Chiesa di Nola: un popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio, dello Spirito.
Un popolo che ha un Solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un popolo ricco di doni diversi, di ministeri in vista dell’unica missione.

Questa sosta della nostra Chiesa vuole riprendere e ripetere lo stile della Chiesa delle origini: dalla comunità partivano gli apostoli e di discepoli per permettere “alla Parola di fare la corsa” per le strade del mondo; alla comunità tornavano per raccontare i prodigi operai della presenta del Risorto e del Suo Spirito.

La Visita Pastorale è stata una pagina degli atti della Chiesa di Nola, della storia della salvezza vissuta dai credenti di questa terra. Questa storia voglio raccontarvi come facevano i primi apostoli.
La prima parola che voglio pronunciare è la gratitudine a Dio, a Lui, e soltanto a Lui, l’onore e la gloria. E’ una professione di fede: Soli Deo honor et gloria.

Ho intrapreso il mio pellegrinaggio portando nel cuore l’icona di Barnaba, così come è proposta dagli Atti degli Apostoli: nutrendo il desiderio di vedere i vostri volti, di veder in voi la grazia del Signore e rallegrarne, di invitarvi a perseverare nei sentieri di Dio, di aiutare tutte le comunità ad una verifica della fede e dell’azione pastorale.
In questo pellegrinaggio mi hanno accompagnato due bussole oltre la Parola di Dio: la bussola del Concilio Ecumenico Vaticano II e poi la bussola delle “parole” che Giovanni Paolo II lasciò alla nostra Chiesa nella sua visita del 23 maggio 1992: dopo 19 anni quelle parole conservano tutta la loro freschezza e giovinezza.
Ci poniamo tutti, pastori e fedeli, sotto lo sguardo del “Vivente”, del veggente dell’Apocalisse, di Colui che conosce perfettamente la fede, la carità, il servizio, la fatica, le tribolazioni, la povertà, la stanchezza.

“Ascolti ora la Chiesa di Nola, ciò che lo Spirito le dice”

“Ho visto vivere la Chiesa” (P. Claduel: 25/XII/1886) nella bellezza della liturgia, nell’ascolto credente della Parola, nello stupore della contemplazione del Mistero, nella fraterna e profonda condivisione della fede, nell’accoglienza del segno del Pastore, nel desiderio di gridare tutti “la bella notizia che è Gesù Cristo”.
Ho visto vivere la Chiesa, ho sentito la gioia della missione e ancora il dovere della responsabilità.

Ho incontrato i volti, quelli dei presbiteri:sacerdoti che ancora oggi prolungano la tradizione del clero nolano: ricco di spiritualità, aperto alla cultura, attento alle provocazioni della storia, vicino alla gente e ai suoi problemi. Un clero con grande senso di rispetto e di venerazione per il ministero del Vescovo. Un clero che avverte il disagio di questa stagione culturale e pastorale, ma desideroso di conoscere la via e i metodi per una pastorale più significativa e incisiva.
Un clero, quello di Nola, amato dalla gente. Anche quando ho ascoltato critiche e contestazioni, ho sempre avvertito il rispetto e le simpatie che il popolo nutre per i preti.
Ho incontrato il volto dei diaconi permanenti, dei consacrati e delle consacrate, uomini e donne che con passione e generosità, con modalità diverse, ma tutti gratuitamente, collaborano con il ministero presbiterale nell’annuncio del Vangelo.

Ho incontrato il volto di un impressionante laicato, di un grande laicato, di un variegato associazionismo,con una chiara coscienza battesimale ed ecclesiale, pronto ad assumersi una maggiore corresponsabilità nella vita della comunità e nell’impegno missionario.

Ho incontrato il volto dei giovani: ho ascoltato le loro storie, le loro attese, le loro delusioni, i loro sogni. Ho percepito le loro invocazioni: chiedendo una Chiesa capace di amarli, di ascoltarli, di accoglierli, di accompagnarli talvolta così come sono, con i loro drammi interiori che non riescono a far venir fuori. Una chiesa capace di suscitare e risvegliare in loro un grande desiderio, il desiderio di Altro e di oltre.

Ho incontrato volti di adulti e famiglie: si sentono smarriti e impauriti, soli e abbandonati. Avvertono profondamente il peso di vivere in questo momento difficile dal punto di vista sociale, culturale, educativo, relazionale. Cercano compagni di viaggio, confidenti ai quali affidare il segreto delle loro fragilità.

Ho incontrato il volto degli anziani, degli ammalati. Una grande risorsa della comunità cristiana, una santità sommersa, una generazione depositaria di una grande storia di fede e di tradizioni cristiane: il senso di Dio, della Provvidenza, la forza della preghiera, la serenità del volto, la capacità di diffondere gioia e pace.

Ho incontrato il volto dei lavoratori, degli amministratori. In questo tempo di disagio sentono che solo alla Chiesa possono dare fiducia: la sola che riesce ancora ad ascoltare la loro sofferenza e a dare speranza.
Dagli amministratori mi è venuta una grande invocazione, chiedono alla Chiesa di essere accanto per rigenerare questa terra ferita da grandi fenomeni sociali: l’illegalità, la criminalità, tutte le varie forme di delinquenza, l’usura, il pizzo, il raket. Sono malattie che impediscono il lavoro e lo sviluppo economico di questa nostra terra.

Ho incontrato una storia di fede:
-        Nel patrimonio degli edifici sacri e della loro preziosità artistica, segni di una grande fede;
-        Nelle tradizioni religiose spesso plurisecolari, tramandate da padre in figlio attraverso le quali si è tentato di professare la fede;
-        Nelle associazioni culturali di ogni genere, nelle molteplici iniziative educative, sociali, culturali attraverso le quali singoli credenti o associazioni varie tentano di rendere più umano il territorio, e creare occasioni di maggiore aggregazione.

Questa nostra Chiesa non è un deserto, ma un grande bosco che richiede una coltivazione intelligente ma, qualche volta, anche una potatura coraggiosa.
Nonostante il trapasso epocale, ci sono tante possibilità per ricominciare, tanti segni positivi da far sviluppare e riprendere, tante forze sopite da risvegliare ed accogliere.
La Chiesa di Nola ha uno zoccolo duro su cui può contare. Si tocca con mano la presenza della Pasqua del Signore e la forza del Suo Spirito.

Confessio vitae
Ho contemplato con lo sguardo del Signore Risorto la bellezza di questo Suo Corpo, ma anche i problemi, le lacune, i ritardi, le lentezze.

Anche nel nostro territorio la fede si va spegnendo, e avanza una generazione incredula, avanza con grande e spaventosa velocità. Dio non è più la questione essenziale per la vita. Si sperimenta l’esilio di Dio e per conseguenza il vuoto nel cuore e nella vita dell’uomo. Anche per noi, come in altre Chiese sorelle, il cristianesimo spesso è ridotto a magia, superstizione, coreografia sacra, tradizione sociale. Una buona parte di battezzati ha perso la propria identità. È forte la religione, ma debole la fede… ridotta spesso a palcoscenico. Anche nella nostra terra.
Il divario fra fede e vita è la più preoccupante tragedia.

Quali sono le piaghe della Chiesa di Nola?
Le piaghe della Chiesa è un’espressione gridata da Innocenzo IV, nel discorso di apertura del Concilio di Lione 1245. quali le piaghe e le patologie di questa Chiesa che dobbiamo tener sempre presenti?

La prima è l’incapacità a discernere i tempi e la storia. Spesso non sappiamo dove siamo, non ci rendiamo conto del cambiamento epocale di questi cinquant’anni, spesso non ci accorgiamo e non conosciamo quello che avviene sotto i nostri occhi. Non abbiamo imparato ancora quel metodo nuovo che ci ha consegnato il Concilio Vaticano II, soprattutto nella Gaudium et Spes, il discernimento.
Saper ascoltare i segni dei tempi, nei segni dei tempi ci sono le grandi provocazioni che Dio lancia all’interno della storia. E accanto all’incapacità di leggere la storia e di capire dove siamo e perché siamo, la pastorale spesso pecca di attivismo esagerato, senza un sufficiente pensiero teologico. La pastorale non è un fare, la pastorale è mediare la salvezza, dare la possibilità all’uomo di incontrare Gesù Cristo. Da questa prima piaga ne discende la pastorale mediocre e ripetitiva, tradizionale nella forma nei linguaggi negli stili.
È tempo della nuova evangelizzazione, ha detto Giovanni Paolo II nel 1979, lo ha detto a Piazza d’armi il 23 maggio del ’92 bisogna cominciare con la nuova evangelizzazione. Dobbiamo imparare un linguaggio nuovo per dire Dio all’uomo di oggi. Il DNA dell’uomo nelle nostre parrocchie è totalmente cambiato, dobbiamo imparare nuovi linguaggi per dire Dio, nuovi stili per renderlo visibile, nuovi metodi pastorali perché la salvezza possa camminare nella nostra storia.
Alcune volte si vede nelle nostre comunità una pastorale molto mediocre, una pastorale senza proposte interessanti per la vita. La Fede non è un abito che indossiamo, è la possibilità di esser più uomini, di vivere una vita più bella e interessante. Il cristianesimo ricco di umanità più vera. Nel 1915 Paul Claudel diceva che quando Gesù è venuto non si è fermato a rimpiangere i modelli del passato. Ha creato il cristianesimo come nuova proposta per entusiasmare la gente.

Una seconda patologia mi pare di aver percepito: una non adeguata recezione del Concilio Vaticano II.
quel Concilio che, secondo Giovanni XXIII, doveva essere una nuova Pentecoste, un passo avanti nella Chiesa; quel concilio chiamato da Paolo VI “bussola consegnata nelle mani della Chiesa” perché la Chiesa potesse affrontare il nuovo millennio dell’amore.
Miei cari molte volte, passando nelle comunità, mi è sembrato che il Concilio sia passato solamente negli aspetti marginali, negli aspetti secondari. Il messaggio più bello del Concilio, forse, non lo abbiamo ancora assimilato.
E del Concilio non abbiamo assi militato l’intuizione più bella, l’intuizione della Chiesa. Mi rendo conto che in diversi strati della nostra Diocesi vi è una carenza di coscienza ecclesiale, la Chiesa non è ancora vista per quello che è: dono da accogliere, mistero della Trinità, presenza della Trinità nella storia.
Anche l’idea dell’istituzione è quella portata avanti. Una carenza di coscienza ecclesiale è la patologia da cui scaturiscono i problemi attuali.
Da un’ecclesiologia povera e mediocre scaturisce una pastorale povera e mediocre. Una carenza di coscienza sociale si accompagna a questo deficit ecclesiologico e ne è la chiara espressione.
Ci sono due parole che non appartengono alla sociologia ma alla Trinità e le due parole sono relazioni e appartenenza. E come queste due parole sono fondamentali nella Trinità, lo sono nella Chiesa comunione.

Proprio perché è carente tale prospettiva, si coglie molte volte con mano quel terribile cancro che è l’individualismo. Questo si esprime in tutti i livelli: tra presbiteri, tra parrocchie, tra associazioni, tra movimenti.
Proprio perché manca il senso della Chiesa locale si realizzano tra noi le varie velocità pastorali, perché manca il punto di riferimento, manca una parola che indica il cammino. Proprio perché manca il senso della Chiesa locale, una difficoltà a lavorare insieme per una pastorale integrata.
Ci sono molti navigatori solitari, con ottimi progetti pastorali, ma navigatori solitari. I navigatori solitari non costruiscono, avviene così che le Comunità cristiane assumono il volto del parroco di turno, il parroco imprime il volto alla comunità e siccome questi cambiano, le comunità sono costrette a cambiare spesso cammini e registri, senza possibilità di crescere armonicamente.
Le parrocchie sono cellule della Chiesa locale, le appartengono, camminano con il passo della Chiesa locale, e nella Chiesa locale c’è un ministero fondamentale da riconoscere, è il ministero del Pastore.
È il Pastore che indica il cammino, il mistero apostolico portato avanti dal Vescovo, chiunque sia, è fondamentale per un cammino di Chiesa e per un ‘esistenza cristiana.
Sant’Agostino diceva che unus chistianus nullus christianus: un solo cristiano non esiste. Da questa patologia scaturisce una non chiara teologia e prassi del laicato: il gigante addormentato (De Lubac). Nella chiesa esiste ancora lo stato di minorità dei laici, eppure il Concilio ci aveva detto della dignità di ogni vocazione. Esiste una unità della missione, l’annuncio del Vangelo, ma ci sono diversità di mistero. Tuttavia ogni ministero è per il Vangelo, è tempo di convincerci che non ci può essere comunità senza Pastore, ma non ci può essere neanche una comunità senza laicato. I laici, dicevano i Padri, sono i piedi del vangelo. Attraverso i laici il vangelo e la salvezza entrano nel mondo e nelle istituzioni.
La qualità dei laici considerata non per il tempo che dedicano alla parrocchia, ma per il tempo che sanno dedicare alla missione, all’annuncio del vangelo laddove la Provvidenza li ha posti.
Dobbiamo recuperare la bellezza del ministero laicale, è importante come la bellezza e ma missione presbiterale. Proprio perché è difficile la comprensione della dimensione laicale, ne consegue la fatica di dare vera vita nelle nostre comunità parrocchiali agli Organi di partecipazione -il Consiglio Pastorale Parrocchiale e il Consiglio per gli Affari Economici-.
I laici sono una grazia, non dobbiamo dimenticare l’esperienza di Mosè, [scegliti validi collaboratori, Num 11,16], non possiamo dimenticare quello che ci consegna la Lumen Gentium al numero trenta dove ci dice che ricordino i pastori che non sono chiamati a portare da soli il peso della responsabilità pastorale.
Dobbiamo accogliere i laici non per buonismo, ma perché questa è la volontà di Dio, accoglierli per la loro competenza, la competenza del consiglio, dobbiamo lasciarci scomodare dai laici.

Una quarta patologia è la Chiesa troppo centrata su se stessa, siamo molto preoccupati dei nostri progetti pastorali, della nostra vita all’interno delle parrocchie, dimenticando che la Chiesa è per il mondo, per la salvezza del mondo e del territorio.
Se è possibile, dobbiamo prendere coscienza cha la grande carenza di coscienza sociale corrisponde alla grande carenza di coscienza missionaria. Se riuscissimo a leggere i discorsi di Paolo VI alla conclusione del Concilio, 7 dicembre ’75, quel Papa innamorato dell’uomo ci dice che la Chiesa è innamorata dell’uomo quello fenomenico, come lui lo definiva, così com’è con le sue bellezze ma anche con i suoi drammi e le sue tragedie. Se riuscissimo a leggere la Gaudium et Spes, l’enciclica di Giovanni Paolo II la Redeptor et Spes, l’enciclica di Giovanni Paolo II la Redemptor hominis: l’uomo è la via della Chiesa.
Non dobbiamo dimenticare quello che i Vescovi italiani scrivevano per la Chiesa del mezzogiorno dicendo che la parrocchia, partendo dalla fede in Gesù Cristo e dal vangelo, deve diventare soggetto sociale.
Miei cari il territorio ci interessa,l’uomo ci interessa, i problemi, i disagi ci interessano, se fossimo capaci di questa apertura la Chiesa darebbe un grande contributo per risanare le problematiche di questo territorio. Siamo chiamati a creare una qualità umana, una fede più umana. A noi interessa salvare l’uomo, tutto l’uomo, non soltanto le anime, ma l’uomo nella sua integralità, siamo chiamati a lavorare per lo sviluppo dell’uomo.
Coscienza sociale e coscienza missionaria vanno insieme, la missionari età è stile di vita, amare innanzitutto, essere presenti, ascolto, dialogo, accoglienza, testimonianza, cercare i volti, non è la gente che ci deve cercare, è la comunità che deve andare incontro a cercare la gente.
Dobbiamo amare questa Galilea delle genti, che il nostro territorio,perché in questa Galilea ci manda il Risorto e in questa stessa Galilea Egli ci precede sempre. Coscienza sociale e coscienza missionaria ci chiedono il coraggio del decentramento pastorale, andare tra la gente.
Bisogna vivere la fantasia di andare lì dove la gente vive, dalla fantasia pastorale può rinascer il volto della Chiesa di Gesù, che mai si ferma. L’amore mi possiede, dice San Paolo, e quando mi muove e mi fa incontrare.

La quinta patologia, percepita in questo mio pellegrinaggio, e un preoccupante disinteresse culturale. Le nostre parrocchie devono investire di più sulla cultura. Quando non si investe sulla cultura le nostre parrocchie diventano delle “bottegucce”, dove si parla e ci si preoccupa di tutto, anche delle cose più banali, quando non ci sono grossi orizzonti le nostre parrocchie divengono luoghi di banalità.
Mi sembra che al momento non ci sia un investimento sulla cultura, sulla cultura che significa attenzione all’uomo. Ci rendiamo conto che, alla base delle difficoltà di questo nostro tempo, c’è una grande crisi antropologica, l’uomo ha perduto la sua identità, non sa più di chi è. Dobbiamo ricominciare a ricostruire ponti, a ricostruire l’umano.

Queste cinque patologie, rispetto alle quali siamo in ritardo. Se avessimo ascoltato le indicazioni che ci sono venuti in questi ultimi quarant’anni dai nostri vescovi! Da Monsignor Grimaldi abbiamo ricevuto l’indicazione all’attenzione alla storia e alla coscienza sociale; il magistero di Monsignor Costanzo ha sottolineato il primato della Parola, la Parola sempre, prima di tutto e poi l’attenzione al laicato; con il magistero di Monsignor Tramma, la scelta degli adulti.

Cosa dobbiamo fare?
Questa è la domanda che Monsignor Tramma, per ben due volte, rivolse al Papa a Piazza d’Armi e nella Cattedrale di Nola.
Giovanni Paolo II rispose, mettendo da parte il discorso già approntato, con una risposta semplice ed efficace: dobbiamo formare i testimoni.
È un’indicazione pastorale attualissima.
Fare i testimoni, da una Chiesa sociologica ad una Chiesa di testimoni, (così si esprimeva il Santo Padre).
Ebbene è ora che questo avvenga e questo attraverso la scelta educativa che significa il nostro interesse alla persona. La persona ci interessa, le singole persone, accompagnare le persone in tutte le fasi della loro esistenza per fornire all’uomo l’esperienza di una fede che non si appiccica come una vernice superficiale, ma vi si amalgama fino a costruire il corpo, che la plasma e la orienta.
La scelta educativa per formare testimoni capaci di risolvere la dissociazione tra fede e vita, tra culto e occupazioni profane, tra servizio ecclesiale e attività pubblica, formare testimoni perché si superi il divario tra credente e cittadino.
Il credente è il cittadino più bello.

Cosa dobbiamo fare?
È necessario il cambio di una rotta, difficile ma da tentare, dai bambini agli adulti. La nostra pastorale è centrata essenzialmente sui bambini, dobbiamo andare dai bambini agli adulti, dalla preoccupazione di formare ai sacramenti all’impiego di formare la coscienza.
La coscienza cristiana, dalla preoccupazione di un culto vuoto, a quello dio un culto che educa, genera e trasforma la vita.
La liturgia dunque come la grande scuola educativa, in cui la celebrazione intelligente e bella, cambia l’esistenza.
In questo cambio di rotta pastorale non possiamo dimenticare due attenzioni al primo annuncio e all’iniziazione cristiana.
Primo annuncio non in termini cronologici, ma come fondamento, così da gridare che Gesù Cristo è il Signore, primo annuncio fondamentale senza il quale non è possibile vivere. Annuncio da fare a chi si accosta al Battesimo, all’Eucarestia, al Matrimonio, e a qualsiasi Sacramento a qualsiasi momento della vita ecclesiale.
Dobbiamo educarci a farlo secondo le modalità che la gente riesce a percepire: i linguaggi nuovi.
E poi dobbiamo prendere sul serio il rinnovamento della liturgia. Bisogna formare i testimoni a partire dalla Parola, la lectio divina settimanale, Dio ci ha parlato per educarci, la Parola di Dio ci educa. Dunque il primato della Parola nell’annuncio, nella pastorale, nella catechesi.
Per annunciare la Parola è però necessario mettersi in preghiera, l’annuncio della Parola è l’eco, al di fuori di noi, di ciò che avviene nel nostro cuore. Se il cuore è pieno la Parola sgorga.
L’Eucarestia celebrata e adorata, è l’altra grande fonte.
Dobbiamo imparare a celebrare, quando si celebra Cristo è qui.

Facendo la visita Pastorale hop notato che nel nostro ambiente c’è tanta attesa, la gente non è contraria al Signore, non è contraria alla Chiesa. C’è tanta attesa: per una Chiesa più viva e più bella, più affascinante.
Ci si chiede una Chiesa più spirituale, più centrata sulla Parola, più laicale, più ecumenica, più incarnata, meno moralistica e pessimista. Una Chiesa più esperta di Dio e umanità.
Permettetemi di ripetervi, fratelli e sorelle, laici, presbiteri, religiosi e religiose, amici tutti che questo tempo nel quale la Provvidenza ci ha posti, che è il nostro tempo, esige serietà.
È tempo di serietà!
Serietà nell’annuncio e nella celebrazione, serietà nella testimonianza, nello stile di una comunità cristiana.
Non possiamo più cedere agli emozionismi rituali o alla fede commercializzata. I tempi sono difficili e hanno bisogno di nuovi modelli di Chiesa e di comunità.

Chiesa di Nola: non aver paura, con il coraggio e l’audacia degli Apostoli riprendi il cammino. Il Signore è con te. Guarda all’eredità di S. Paolino e annuncia a tutti la più grande speranza: Gesù Cristo è la nostra salvezza, è il Signore.
Chiesa di Nola senza paura, senza perplessità e smarrimenti, come diceva Giovanni Paolo II: DUC IN ALTUM.


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