Storia

[Tratto da "S. Maria la Nova e S. Anastasia" di M. Toscano]
 
La chiesa Parrocchiale
Prima di parlare della chiesa parrocchiale di S.Maria la Nova non si può fare un accenno all'antica, distrutta chiesa di S.Anastasia, fino al 1546 a sua volta chiesa principale del paese. Essa sorgeva in una località detta ancora oggi Pozzo, dai individuarsi come quella posta tra l'attuale centro storico anastasiano e il quartiere di Madonna dell'Arco. La denominazione popolare del luogo è giustificata dalla presenza durante l'Ottocento e parte del Novecento del pozzo provinciale, e dalla ricchezza d'acqua del luogo. Quest'ultimo particolare è di grande importanza poichè trova conferma così la preziosa testimonianza riportata de un testo di primo Novecento in cui si afferma che la chiesa di S.Anastasia fosse sorta in epoca alto medievale, esattamente sullo stesso punto in cui sorgeva l'antico tempio pagano. L'ipotesi sembra verosimile proprio in ragione del fatto che in effetti in antico spesso i templi si construivano in posti particolarmente ricchi d'acqua.
L'aspetto
La chiesa era consacrata appunto a S. Anastasia, in ricordo delle origini Greche dell'abitato. Molto probabile è che la sua fondazione risalga proprio alla guerra greco gotica ed all'arrivo dei soldati di Giustiniano, che dopo lo scontro, si impiantarono, per ordine dello stesso imperatore, nelle regioni devastate e spopolate.
I soldati greci si mischiarono alle popolazioni indigene un po' dappertutto al sud Italia, ma evidentemente la comunità greca anastasiana dovette essere più nutrita delle altre, visto che ebbe il sopravvento persino nel nome da attribuire alla chiesa parrocchiale ed all'intera contrada.
Bisogna inoltre non trascurare il fatto che molto probabilmente, all'epoca della guerra greco-gotica, il popolo che viveva nella zona del Campus Romanus detta poi S. Anastasia, era ancora legato alla religione pagana che è definita in questo modo infatti proprio per la sua permanenza anche lunga nei paggi, cioè appunto nei villaggi.
La chiesa di S. Anastasia doveva ricordare nell'aspetto quella di S. Paolo Maggiore di Napoli, sita in piazza San Gaetano; anche questo sacro edificio partenopeo, infatti, sorge certamente su di un antico tempio pagano: quello dei Dioscuri, e ne reca chiara traccia della facciata che, malgrado i moltissimi rifacimenti subiti nel corso dei secoli, presenta ancora parte del colonnato originale dell'edificio romano.
Allo stesso modo di S. Paolo Maggiore, dunque, l'antica chiesa anastasiana sarebbe stata ornata di un colonnato derivante dal pronao del tempio pagano.
Antichità e prestigio
Del resto la fondazione della chiesa di S. Anastasia dovette essere davvero molto antica, che in un documento del 1353 risulta già esistente e attiva da molti anni. Eccone il solenne testo:
"1353. Papa Gregorio XI. Bolla del 29 marzo 1353 da Avignone, a Bernardo Arcivescovo di Napoli:
Greogorius Servus Servorum Dei Venerabili Frati Archiepiscopo Neapolitano salutem et apostolicam benedictionem. Is quae pro Ecclesiarum praesertim Cathedralium honore; ac utilitate, ac divini cultus augmento utiliter postulantur a nobis, libenter annuimus, et favorem apostolicum impartimur. Sane petitio pro parte dilectorum Filiorum Capituli Ecclesiae Nolanae, et universorum Clericorum perpetuorum beneficiatorum in eadem Ecclesiae nobis nuper exhibita continebat, quod fructus, redditus, et proventus canonicatuum, et praebendarum, ac aliorum beneficorum suorum ecclesiasticorum quae in dicta Ecclesia obtinent, sunt adeo tenues et exiles, quod ipsi ex eis nequeant comode substentari; quodque in Diocesi Nolana sint quamplures Ecclesiae cum cura, et sine cura ad collationem Venerabilis Fratris Nostris Episcopi Nolani pertenentes, in quarum aliquibus tam propter tenuitatem fructuum ipsarum Ecclesiarum, quam etiam propter absentiam illorum, qui Ecclesias ipsas obtinent, in divinis officiis modicum, in aliis vero nullatenus deservitur. Quare pro parte ipsorum Capituli, et Beneficiatorum nobis fuit humiliter supplicatum, ut de Subscriptis Ecclesiis usque ad valorem quingentorem florenorum annutim secundum communem existimationem videlicet [...] S. Sthephani de Somma, S. Vitaliani de Casali Sancti Vitaliani, S Maria de Brussano, S. Marcellini de Casali Laudomini, [...] S. Anastasiae de Casali S. Anastasiae... [dignaremur incorporare fructus et redditus]
Datum Avenionis IIII. Kal. Aprilis Pontificatus anno secundo".

[traduzione dal latino]
"Gregorio Servo dei Servi di Dio al Venerabile Fratello Arcivescovo Napoletano, salute e benedizione apostolica.
Volentieri acconsentiamo e impartiamo il favore apostolico alle cose che utilmente ci vengono richieste a vantaggio delle Chiese e soprattutto delle Cattedrali, e a vantaggio dell'utilità e del culto divino. Certo la petizione dei diletti figli del Capitolo Nolano e di tutti i chierici beneficiatori perpetui della stessa chiesa da noi adesso mostrata conteneva che il frutto, il reddito e il provento dei canonicati, sia delle prebende sia degli altri benefici dei suoi ecclesiastici che si ottengono in detta Chiesa, sono tanto tenui che essi stessi non possono comodamente sostenersi, e che nella Diocesi Nolana ci sono diverse chiese pertinenti, con o senza curatela, alla contribuzione del Nostro Fratello Vescovo Nolano, in alcune delle quali, tanto a causa della tenuità dei frutti delle Chiese stesse, quanto anche a causa dell'assenza di essi, che conservano le stesse chiese, si bada poco per quanto riguarda i divini uffici, riguardo agli altri, in verità, fino a nulla. Per la qual cosa da parte degli stessi del capitolo e dei beneficiatori ci fu umilmente supplicato affinchè [ci fossimo degnati di incorporare i frutti ed il reddito] riguardo alle seguenti chiese, fino ad un valore di cinquecento fiorini annui seconod la comune stima cioè: [...] S. Stefano di Somma, S. Vitaliano del casale di S. Vitaliano, S. Maria di Brusciano, S. Marcellino del Casale di Lausdomini, S. Anastasia del Casale di S. Anastasia...
Avignone, 29 marzo, secondo anno del pontificato."
Dunque con questo documento papa Gregorio XI, allora residente ad Avignone, consentiva al capitolo nolano, che glie ne aveva fatto richiesta, di godere dei vantaggi economici derivati da molte parrocchie che ricadevano nella sua diocesi, tra cui anche quella di S. Anastasia nell'omonimo paese.
Il Cinquecento: Fatiscenza e crollo
Da un documento presente nell'archivio diocesano di Nola si apprende che gi a metà Cinquecento il tempio di S. Anastasia era ormai in rovina.
Ecco come narra la vicenda il Remondini, un importante studioso settecentesco:
"Si avvide nell'anno 1546 il Capitolo della Cattedrale Nolana essere in imminente pericolo di cadere l'antichissima Parrocchiale di S. Anastasia della Terra di simil nome, che a lui si apparteneva, e pensò con saggio consiglio di cederla a que' Cittadini: e tanto più volentieri si appigliò a questo partito, perchè sapeva che quella Università, considerando anch'essa il sovrastante pericolo di sua Parrocchia e l'incomodo che avevano i suoi Cittadini a portarsi a questa Chiesa ch'era fuor della Terra ed in un bosco fabbricata, aveasi eretta in opportuno luogo una Chiesa sotto l'invocazione di S. Maria della Neve [sic!], ed aveavi deputati a sue spese alcuni Sacerdoti che la servissero e vi amministrassero, con la facoltà lor conceduta da Monsignor Bruno, i SS. Sagramenti a nome della Paarrocchia di S. Anastasia"
Dallo stesso documento cinquecentesco si capisce chiaramente che la chiesa di S. Anastasia non solo era in cattivo stato, ma sembrava in procinto di crollare, dunque non era possibile continuare a dirvi messa se non mettendo a repentaglio la vita dei cittadini.
Con il documento conservato nella diocesi di Nola del 9 luglio 1546 lo stesso capitolo della cattedrale chiedeva di cedere quei diritti all'università del paese (termine con cui si definiva allora l'amministrazione pubblica) proprio per il fatto che il luogo di culto era ormai fatiscente e che del resto il paese aveva già pensato di dotarsi di una chiesa molto grande e ben ornata di proprietà pubblica.
Monsignor Bruno però, allora vescovo di Nola, nel documento sottolinea che l'università cittadina ha l'obbligo di mettere a nuovo l'antica chiesa di S. Anastasia e di far dire messa spesso anche lì. Afferma infatti chiaramente il Remondini:
"Si risolsero adunque i Nolani Canonici agli 11 di Luglio nel 1546...di concederla [la chiesa di S. Anastasia] a questa Università con tutte le sue rendite, bene e ragioni, con le quali era stata loro incorporata da Gregorio XI...e la unirono alla novella Chiesa con l'obbligo che mantenesse l'antica sì con riparar la minacciante fabbrica, che con provvederla di tutto ciò che di mestier le facesse e di farvi celebrare una messa la settimana e cantarvi i Vespri e la messa solenne nel giorno di S. Anastasia, e di pagare in segno del dominio e del perpetuo censo al Capitolo nove ducati l'anno, tre nel dì d'Ognisanti, tre nel Santo Natale, e tre nel giorno della Pasqua di Resurrezione".
La chiesa scomparsa
Ma l’impegno dovette essere completamente disatteso, soprattutto col passare dei secoli, visto che la chiesa finì pre crollare e poi scomparire del tutto, senza lasciare alcuna traccia di sé.
La nuova chiesa dedicata a S. Maria era stata infatti eretta dagli anastasiani proprio perché quella antica sorgeva ormai fuori dal centro cittadino che si era sposato verso l’attuale piazza Trivio; infatti, al posto delle antiche abitazioni da tempo abbandonate, c’era un vasto e lussureggiante bosco; con la costruzione del nuovo edificio sacro la zona si spopolò dunque del tutto. Nonostante il secolare abbandono però pare comunque che a fine Ottocento i ruderi della chiesa fossero ancora visibili; infatti solo allora, per ordine del sindaco Miranda, che come si vedrà più avanti non era affatto sensibile alle problematiche storico-artistiche, venne abbattuta del tutto.
Racconta Giuseppe Viola, storico anastasiano del primo Novecento e quindi quasi contemporaneo dei fatti:
<< Il Miranda fu negligente nel far conservare i ruderi delle colonne dell’antica chiesa detta di S Anastasia al luogo detto Pozzo, ove sono varie sorgenti d’acqua eccellenti; ed ora si vedono a Trocchia all’entrata della Villa del Cavaliere Francesco Cappelli!! Un’ altra di esse in mezzo al largo Trivio sorreggeva un fanale pubblico e nemmeno oggi non si sa dove stia. Quelle colonne rassomigliavano a quelle del chiostro del monastero di S. Paolo a Napoli.>>
almeno tre delle colonne che ornavano l’antica chiesa erano state dunque riusate: in particolare una funzionò da sostegno ad un lampione posto al centro di piazza Trivio; le altre due, ancora in situ fino all’abbattimento della chiesa, si trovavano (e per quanto se ne sa si trovano ancora!!!) sulla facciata di una villa di Trocchia. 
La localizzazione
La zona in cui sorgeva l’antica parrocchia è dunque chiara, più difficile è stabilire il punto esatto in cui essa era stata edificata, poiché non sembrava ve ne sia rimasta traccia alcuna. Tutto quello che si apprende da varie fonti è che essa sorgeva nel punto in cui nei primi anni del Novecento c’era palazzo Sessa ed il Municipio, prima che, nel 1910, si trasferisse a Palazzo Siano, sua sede attuale. Giuseppe Viola dice ancora infatti:
<<[la chiesa] che per S. Anastasia era quella al largo del pozzo, detta S. Asnastasia, sulle cui ruine si vede ora palazzo Sessa ed il pozzo provinciale, oltre quello comunale. Alle antiche case abbattute dalla cattività dei tempi, (resisté solo la Chiesa Parrocchiale di S. Anastasia per altri secoli fino al 1450 circa), si trovò sostituito un bosco…>> In ragione dell’accordo con il capitolo della cattedrale nolana, il Comune infatti era da secoli proprietario dell’area occupata dall’edificio sacro crollato, è dunque comprensibile che lo abbia usato in seguito per porvi i suoi uffici.
Il mistero di S. Anastàsia
È solo dall’inizio del Novecento in poi che si sono perse le tracce di un altro elemento superstite dell’antica chiesa, di grande importanza: la statua della santa patrona.
Secondo Viola una statua d’argento in pessime condizioni era ancora conservata nella chiesa di Santa Maria la Nova almeno fino al 1906, tuttavia non sembra vi sia più segno del manufatto che, ove mai fosse stato veramente quello originario, avrebbe ricoperto una grande importanza non solo per la storia e la fede degli anastasiani, ma anche per la storia dell’arte medievale, così povera di esemplari superstiti.
Tuttavia l’opera è da ritenersi completamente perduta: l’erma in argento che si conserva ancora in S. Maria la Nova, infatti, non può affatto identificarsi con quella descritta dalle fonti: sia perché è ancora oggi in ottimo stato, mentre era descritta come semidistrutta più di un secolo fa, sia soprattutto perché lo stile ne denuncia chiaramente la sua origine al massimo Sette-Ottocentesca. È da ritenersi quindi che l’opera sia stata eseguita proprio in sostituzione della vecchia effige, giudicata ormai inutilizzabile.
Essa potrebbe essere stata eseguita anche nel Novecento su calchi più antichi. Potrebbe però essersi dato l caso che, per una questione di devozione e di risparmio, si sia rifuso l’argento della statua medievale, come pure spesso è accaduto, ma la cosa non renderebbe certo la perdita meno grave.
Grandiosità di S. Maria la Nova
Gli anastasiani, da sempre popolazione ricca e dedita al commercio, avevano costruito il loro nuovo luogo di culto senza badare a spese, tutti i documenti che si riferiscono a S.Maria la Nova prima della seconda metà dell’ottocento la descrivono infatti come un edificio molto ampio, nobile, ben ornato.
Essa si trovava nell’attuale piazza Trivio e, come avviene sempre, dalla piazza vi si accedeva. Infatti in origine la Chiesa era orientata esattamente al contrario di come appare oggi: l’ingresso, in altre parole, era appunto dal lato Trivio, dove ora è la parte absidiale, cioè terminale, dell’edificio; l’abside invece si trovava ovviamente dove è ora posto l’ingresso. O meglio, in quella direzione, ma molto più allungato verso l’attuale via Roma. Infatti la ricostruzione interessava poco meno della metà della strada e occupava il luogo che ancora oggi dagli anastasiani più vecchi è chiamato fore o’ coro’ , ad indicare appunto che il quel luogo sorgeva il coro della Chiesa, ossia il posto dove si posizionava appunto il coro durante le messe solenni, cioè la parte terminale dell’abside.
L’orientamento e la lunghezza non sono la sola cosa differente tra l’aspetto iniziale e quell’attuale della Chiesa di S. Maria la Nova. Essa infatti aveva una struttura tradizionale a navata unica con cappelle laterali su entrambi i lati, e non l’attuale e difforme configurazione con cappelle solo sul lato sinistro.
Fonti documentarie attendibili relative alle visite apostoliche dei vescovi di Nola alla parrocchia, parlano infatti di ben quattordici cappelle: sei per lato più le due del transetto, mentre allo stato attuale la Chiesa ne presenta sei in tutto ( quattro sul lato sinistro e due nel transetto): mancano le quattro cappelle delle ultime due campate (tagliate del tutto per costruire l’ingresso) e le quattro corrispondenti del lato destro per chi entra, che adesso è cieco. I tempio fu dunque in sintesi vistosamente e orribilmente mutilato: accorciato e privato di tutto il lato destro e dell’antica abside. Questo spiega anche come mai si ritrovino edifici di proprietà comunale ed ecclesiastica al di là della chiesa: in realtà la strada che oggi collega piazza Trivio a via Roma da destra, non esisteva; l’area era occupata infatti, com’è facile immaginare, dall’ala destra dell’edificio sacro, a cui erano direttamente legati gli edifici in cui oggi si trovano alcuni uffici comunali e quelli utilizzati per le attività religiose ad essi adiacenti. La Chiesa con i suoi locali annessi arrivava fino all’attuale Scuole Elementari, dove appunto si trovavano le scuole tenute dai molti canonici presenti a S. Maria la Nova.
S. Maria la Nova o della Neve?
Dal documento diocesano si apprende, come abbiamo visto, che già nel 1546 la nuova chiesa anastasiana non solo esisteva, ma era ben ornata e del tutto costruita, dunque era forse aperta al culto da tempo. È singolare però che in questo primo documento la denominazione non sia ancora quella di S. Maria la Nova, poi sempre così attestata, ma S. Maria della Neve. La circostanza particolare potrebbe avere avuto origine semplicemente da un errore di trascrizione dell’atto, ma potrebbe anche essersi dato il caso che invece quella presente nel documento sia stata veramente la denominazione iniziale del luogo di culto e che si sia trasformato in quello attuale solo dopo che, appunto con quel documento, quella Chiesa appena costruita diventava, per decreto papale, la nuova parrocchia; specie se si pensa che da molte forti si apprende che l’antico dialetto anastasiano si distingueva per cambiare tutte le vocali “A” in “E”, elemento che, come si può immaginare, rese ancora più facile la confusione tra “Neve” e “Nova” parole che dunque venivano pronunciate quasi allo stesso modo. Qualunque sia la spiegazione non sembra comunque che la denominazione S. Maria della Neve sia attestata altrove.
La cappella di Buonanno Viola
Ciò che è certo è che già nel 1550 c’era chi acquistava qualcuna delle molte cappelle della nuova Chiesa per farne il luogo di culto e di sepoltura privato per la propria famiglia. Un atto notarile firmato dal notaio Monna o Monda con questa data mostra infatti l’acquisto da parte del prelato Domenico Viola, figlio di Buonanno, di una cappella, detta prima dei tre Magi, poi dell’Epifania. Riferisce infatti l’erede Giuseppe Viola:
<<dovette nascere Buonanno Viola verso il 1460 sotto il governo di Ferdinando I d’Aragona. […] La precisione della nascita di Buonanno Viola non si dà, perché i libri battesimali e di morte della Parrocchia pel tempo anteriore al 1600 furono travolti dalle acque scese dal Monte… Da lui nacquero nel 1510 D. Francescantonio Viola, e D. Domenico Viola nel 1510. D. Domenico Viola fu prete ed acquistò la Cappella gentilizia dell’Epifania coll’annessa fossa nelle collegiale Chiesa parrocchiale di S. Maria la Nova di S. Anastasia, e ciò nel 1550 per atto di Notar Giacomo Monda o Monna, col quale atto faceva la dotazione di tale Cappella. […] di D. Domenico Viola si può dire d’essere fervente cattolico… d’essere ospitali ero, e pieno l’animo suo di carità. Fu prete e pensando di dover morire, fece il testamento suo, facendo dei legati… come risulta da suo testamento del 7 Febbraio 1570 ed aperto a 7 marzo 1570 per Notar Giacomo de Monda di S.Anastasia, epoca non soggetta a registro.
In base a tale testamento volle D. Domenico che si sotterrasse il corpo suo nella Cappella detta dei tre Magi nella Parrocchiale Chiesa di S. Anastasia...>>
Struttura della cappella Viola
Domenico era uomo molto colto e in contatto con ambienti intellettuali Napoletani, città allora retta, come tutto il viceregno, dal re di Spagna Ferdinando il Cattolico.
Il Viola dunque si assicurò che la sua cappella di famiglia fosse abbellita nel modo migliore affidando il quadro principale, la pala, ad un autore distinto purtroppo non meglio noto. Il dipinto raffigurava una visitazione dei Magi, appunto un’Epifania, festività che dava il titolo alla cappella. Il prelato, nato nel 1510 e morto nel 1570, si fece seppellire nella cappella appena acquistata e così fecero i suoi discendenti (come tutti i membri di famiglie nobili) fino all’inizio dell’Ottocento quando Napoleone, con il famosissimo editto di Saint Claude (1806), proibì tale pratica per motivi igienici. Dice infatti ancora Viola: << I Viola hanno avuto a S. Anastasia proprietà, di cui molta si tiene dall’attuale parrocchiale chiesa di S. Maria la Nova. Si è usato sempre da questa famiglia lo stemma con tre pini e tre stelle in campo azzurro e su prato seminato di viole bleù, dette mammole, sormontato da corona baronale.[…]
Lo stemma Viola era scolpito all’altare dell’Epifania o dei tre re Magi, sulla fossa gentilizia di famiglia sita in S. Anastasia nella parrocchiale chiesa di S. Maria la nova; […]
La fossa gentilizia con l’annesso altare di legno … al ricostruirsi la chiesa parrocchiale, fu distrutta senza venia dei Viola; ed il quadro originale, di autore distinto, trovasi piazzato oggi, per ordine del Sindaco, che allora era in funzione, D. Luigi Miranda, a sinistra dell’altare maggiore di chi, fermo al balaustrato, guarda all’altare stesso>>. In un atto di divisione della proprietà del 12 giugno del 1834, steso dal notaio Sodano di S. Anastasia, tra i due fratelli D. Michele e D. Tommaso Viola si trova citata anche l’iscrizione settecentesca in latino che era sulla lapide della cappella gentilizia (allora ancora intatta):
<<Sepulcrum hoc de jure patronatus familiae de Viola a D. Domenico anno M. D. L. pro sé suisque conditum nunc a D. Thoma, et D. Francesco Viola filiis et heredibus Doctoris Antonii. Anno MDCCLXXXVIII sumptus eorum lapide marmoreo>>.
Dal testo si capisce come la stessa cappella costruita per sé e per i suoi da Domenico Viola nel 1550 apparteneva poi dal 1788 ai fratelli Tommaso e Francesco Viola, figli ed eredi di Antonio. Fin qui sembrerebbe tutto chiaro; ma Giuseppe Viola aggiunge poi: << Su questa lapide era scolpita in bassorilievo la persona di Domenico Viola…>>.
Poiché la lapide è purtroppo perduta, non è più possibile stabilire se l’uomo ritratto nel bassorilievo fosse proprio il prelato Domenico, primo acquirente della cappella, come afferma il Viola, o se nn fosse piuttosto uno dei due fratelli nuovi proprietari del monumento o addirittura il loro padre Antonio. C’è anche la possibilità che Tommaso e Francesco abbiano effettivamente voluto commemorare il famoso avo ritraendolo sulla lapide della tomba dio famiglia; ma l’ipotesi più probabile è che il ritratto di Domenico, forse risalente all’epoca della morte del religioso (e quindi cinquecentesco) sia stato inserito nella nuova lapide per creare continuità tra la vecchia e la nuova generazione, secondo una pratica largamente in uso nelle cappelle gentilizie, specie nel Settecento.
La cappella però rimase intatta solo fino a metà Ottocento, quando in occasione del completo rifacimento dell’intera chiesa, l’arredo fu del tutto smembrato. Restano, con ogni probabilità unicamente le tele che l’ornavano.
Le tele Viola: i Re Magi e il Santo Rosario
La tela nota della cappella Viola è da identificarsi senza alcun dubbio con quella che raffigura proprio un’adorazione del Magi attualmente sita sul lato sinistro dell’abside. Ma non è detto che essa sia quella voluta dal suo primo acquirente, Domenico, nel Cinquecento. La tela infatti, pur nel drammatico stato di conservazione in cui versa, mostra chiaramente un impianto di indubbia struttura settecentesca, circostanza che farebbe pensare ad una commissione risalente proprio a quell’epoca, fatta eseguire probabilmente in occasione del rifacimento dell’intera cappella che vide anche l’apposizione della lapide a cui si faceva cenno più sopra.
È probabile infatti che a quest’epoca la tela cinquecentesca fosse andata distrutta, o in seguito ad uno dei frequenti incendi, o se non altro, in seguito alla furiosa alluvione causata dal cataclisma vesuviano del 1631. è ovvio però che gli eredi Viola, dovendo far rifare l’arredo della propria cappella gentilizia, scegliessero temi identici a quelli dei precedenti perduti, e dunque non stupisce che anche la tela ancora esistente, a questo punto con ogni probabilità settecentesca, rappresenti un’ Epifania, ossia una visitazione dei Magi.
Nonostante il pessimo stato e le massicce ridipinture, l’opera appare in effetti di buon pregio artistico. Potrebbe appartenere ad uno stesso autore (ma certamente ad un suo contemporaneo) la tela ora sul lato sinistro dell’abside, proveniente, come è probabile (anche se non v’è menzione alcuna della sua esistenza), della stessa cappella Viola ( o al massimo da qualche altra cappella priva distrutta) e raffigurante una Madonna del Rosario. Essa sembra di qualità inferiore all’opera precedente, sebbene poi difficilmente giudicabile a causa delle ridipinture e dello stato di conservazione che è, se è possibile, ancora peggiore dell’opera precedente, visto che presenta vistose cadute di colore e forami nella tela di supporto.
La Cappella della Santissima Annunziata
Una delle fonti più preziose per la ricostruzione della storia e della struttura delle chiese diocesane sono le Visite Pastorali, ossia i resoconti scritti effettuati da ogni vescovo nolano in relazione alle cose viste in ogni singola chiesa presente sull’intero territorio della diocesi. A questo proposito voglio ringraziare la dottoressa Solpretro per la gentilezza e la professionalità con cui segnala agli studi e gestisce questi antichi documenti.
Purtroppo per i moderni studiosi, queste fonti relazionano quasi esclusivamente sui diritti e i doveri ecclesiastici e civili legati agli edifici sacri; ma menzionano anche il numero, la denominazione e la posizione di ogni chiesa e di ogni cappella all’interno di esse; sono in questo senso quindi comunque molto utili anche allo storico ed allo storico dell’arte.
La prima Visita in cui compare la Chiesa di S. Maria la Nova è quella del 1561, effettuata dal vescovo di Nola Antonio Scarampa. Il 9 settembre, arrivando a S. Anastasia, casale della Terra di Somma, trovò ad aspettarlo una commissione formata dalle persone più importanti del posto, quelli che si occupavano anche della pubblica amministrazione reggendo la neonata università cittadina; eccone i nomi: D. Ferdinando de Mondo, Giovanni Antonio de Liuore, Cesare Passari, Giovanni Monda, Antonio de Simone, Giovanni Battista Majone ed i Reverendi D. Basilio e D. Andrea Dianna.
In questa occasione l’unica cappella già assegnata e menzionata è quella della SS. Annunziata, appartenente a D. Ferdinando de Monda. Se quella dell’Epifania era la prima a sinistra dell’altare, quest’altare era alla sua destra. Il proprietario dichiara di avere l’obbligo, come dice egli stesso, di far celebrare lì una Messa a settimana lo dì di sabbato… e la festa dell’Annunciata, dice da se, che non sia obbligato, le prime vespere et Messa cantata. Non si accenna a tele o ad altri oggetti artistici che potrebbero essersi conservati. Il Vescovo dichiara solo que bona possideat mobilia… una pianeta de filo moresco con lacciuoli di taffettà rossa et una tovaglia. Ma il vescovo Scarampa non era del tutto contento; ordinò infatti a D. Ferdinando che entro sei mesi procurasse per la sua cappella due candelabri di legno dipinti ed un panno dorato per l’altare.
La Chiesetta di S. Stefano
Adiacente alla chiesa parrocchiale c’era la chiesetta di S. Stefano sita intus casali di SAnastasiae ubi est allo Trio in Platea pubblica. L’antica localizzazione, così precisa, farebbe credere che essa fosse posta dove ancora oggi, appunto in piazza Trivio, si trova una cappelletta.
L’edificio apparteneva a Domenico Viola che era tenuto a far celebrare una Messa a settimana dal cappellano. Essa era stata consacrata a settembre del 1543 dal vescovo di Nola Garsia Ramirez della Rua, uomo toledano, sotto la benedizione del Papa Paolo III Farnese.
Anche in questo caso lo Scarampa dichiara che l’arredo sacro è adeguato, ma non descrive nulla delle cose contenute all’interno della cappella. A Domenico Viola però non viene dato alcun obbligo, il che farebbe credere che l’arredo fosse più ricco di quello della cappella di Ferdinando de Monda e quindi non bisognoso di alcuna integrazione. Si spiegherebbe così anche la mancanza di particolari descrizioni. Probabilmente infatti gli oggetti erano troppi per essere enumerati uno per uno. 
I lavori marmorei
Risale certamente ai primi decenni di esistenza della chiesa il magnifico fonte battesimale scolpito in marmo bianco, su cui è incisa la data di costruzione, il 1590. è suggestivo pensare che da allora tutti i figli di S. Anastasia abbiano avuto il primo contatto con Dio attraverso l’acqua benedetta contenuta in quella secolare opera d’arte, dalle pure linee rinascimentali, essenziali ed leganti.
Dello stesso periodo o di poco successivo, ma davvero di grandissimo pregio artistico, è il mensolone a forma di testa d’angelo affiancata da due teste d’ariete (simbolo del sacrificio) che oggi si trova a sostegno dell’ultimo quadro a destra di chi entra. La scultura in marmo mostra una grandissima perizia tecnica dell’esecutore ed uno stile pienamente aderente ai canoni di fine Cinquecento.
Di grande importanza è anche l’imponente altare maggiore, in tarsie di preziosi marmi policromi. Notevoli soprattutto le due teste d’angelo ai lati, del tutto simili angelo-mensola e per questo quindi non solo certamente ad esso coevi, ma probabilmente eseguiti anche dalla stessa bottega. Nella parte bassa dell’altare sono anche chiaramente visibili, in due clipei posti nel registro più basso, le immagini di S. Anastasia da una parte e di S. Michele Arcangelo dall’altra: i due protettori del casale.