lunedì 14 marzo 2011

Un solo pane...

Carissimi amici,
in quest’anno pastorale poiché la Chiesa Italiana celebra il XXV Congresso Eucaristico, desidero invitare la comunità parrocchiale a soffermarsi sullo "spezzare il pane", cioè sulla centralità essenziale dell’Eucaristia. Riviviamo insieme, pertanto, i momenti che caratterizzano “il Giorno del Signore”.


Dalle nostre case alla casa di Dio per diventare sua famiglia 
È domenica mattina. Il mondo sembra quieto. Tuttavia quando un suono di campane si diffonde nell’aria, da molte case, come rispondendo a una chiamata, escono persone che si dirigono verso la chiesa. Sono vestite bene, come se andassero a un ricevimento; camminano svelte, come se qualcuno le stesse aspettando e non volessero far tardi. Perché? Perché quest’ oggi è un giorno speciale: è il Dies Domini, il giorno fatto dal Signore, la Pasqua della settimana. Per fare che cosa? Per essere santificati dal Sacrificio di Cristo e lodare il Padre nello Spirito. Sentiamo un desiderio grande di vita, abbiamo bisogno di amore, custodiamo una speranza salda e vogliamo esprimere tutta la nostra gioia. Per questo ci mettiamo in cammino verso la casa di Dio. Ma per partecipare all’Eucarestia domenicale dobbiamo prepararci pregando. Occorre procurarsi  qualche giorno prima le letture della liturgia, leggere, meditare, cercare di comprendere e di approfondire il messaggio che si è capaci di trarne, e poi lasciarsi ispirare nella preghiera (ci sono vari messalini mensili o annuali che si possono acquistare nelle librerie cattoliche o anche si  può consultare il sito www.maranatha.it). In chiesa non si arriva all’ultimo momento ma con un po’ di anticipo; così si potranno avere alcuni minuti di silenzio per trovare calma, per interrompere gli impegni, a volte frenetici, per diventare consapevoli di ciò che ci apprestiamo a vivere: il mistero della fede, dell’amore e della speranza. Entrando in chiesa ricordiamo il nostro battesimo tracciando su di noi il segno della croce con l’acqua benedetta… ricordiamo di spegnere il telefonino… Facciamo  la genuflessione e fermiamoci in adorazione dinanzi al Tabernacolo. Non permettiamo che la chiesa sia un luogo di chiacchiere, di scambio di parole non necessarie. Quando è ora, il suono della campana avverte l’assemblea che la celebrazione ha inizio; il sacerdote con gli altri  ministri fanno l’ingresso: l’assemblea riunita è la ek-klesia, cioè l’assemblea dei chiamati da Dio, per mezzo dello Spirito Santo, ad essere Corpo di Cristo.
Nel Nome del Padre…
Tutto nella liturgia  inizia con il segno della Croce, nel quale proclamiamo la nostra fede trinitaria, quella in cui siamo stati battezzati: Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo. Questo segno sia sempre tracciato solennemente, in modo ampio, non in fretta: deve essere evidente che con esso si imprime la Croce di Gesù nel nostro corpo, affinché sia presente nei nostri pensieri, nei nostri sentimenti, nel nostro operare. La Croce, infatti, è la misura dell’amore che desideriamo nella nostra vita.
Prima dell’ incontro con il Signore nella liturgia della Parola e nella liturgia dell’Eucarestia è necessario invocare la sua misericordia con i Riti Penitenziali e poi possiamo insieme cantare o recitare l’antico inno del Gloria che loda Dio perché Egli è veramente il Dio che in Cristo Suo Figlio si è mostrato il Signore Misericordioso, compassionevole e ricco di amore.
I riti iniziali terminano con la colletta, che nella sua concisione e brevità, secondo la Parola del giorno, esprime la preghiera di tutto il popolo di Dio, rivolta al Padre onnipotente, in Gesù Cristo, per mezzo dello Spirito Santo.
 La liturgia della Parola. 
Nelle letture viene preparata ai fedeli la mensa della Parola di Dio e vengono loro aperti i tesori della Bibbia. La lettura del Vangelo costituisce il culmine della liturgia della Parola. Alla prima lettura segue il salmo responsoriale, che è parte integrante della liturgia della Parola e che ha grande valore liturgico e pastorale, perché favorisce la meditazione della parola di Dio. Dopo la lettura che precede immediatamente il Vangelo, si canta l'Alleluia o un altro canto, come richiede il tempo liturgico. Tra le varie letture si osservi un momento di silenzio. Ecco, dunque, la liturgia della Parola al suo apice, nella manifestazione di un Dio che parla al suo popolo attraverso la proclamazione del Vangelo. Le letture scelte dalla sacra Scrittura con i canti che le accompagnano costituiscono la parte principale della liturgia della Parola; l'omelia sviluppa e conclude tale parte.
La professione di fede. 
Il Simbolo, o professione di fede, ha come fine che tutto il popolo riunito risponda alla parola di Dio, proclamata nella lettura della sacra Scrittura e spiegata nell'omelia; e perché, recitando la regola della fede, torni a meditare e professi i grandi misteri della fede, prima della loro celebrazione nell'Eucaristia.
La preghiera dei fedeli. 
Nella preghiera universale, o preghiera dei fedeli, il popolo risponde in certo modo alla parola di Dio accolta con fede e, esercitando il proprio sacerdozio battesimale, offre a Dio preghiere per la salvezza di tutti.
Il silenzio.
La Parola deve essere accompagnata del silenzio, affinché sia possibile interiorizzarla, custodirla.
Si deve anche osservare, a suo tempo, il sacro silenzio, come parte della celebrazione. La sua natura dipende dal momento in cui ha luogo nelle singole celebrazioni. Così, durante l’atto penitenziale e dopo l’invito alla preghiera, il silenzio aiuta il raccoglimento; dopo la lettura o l’omelia, è un richiamo a meditare brevemente ciò che si è ascoltato; dopo la Comunione, favorisce la preghiera interiore di lode e di supplica. Anche prima della stessa celebrazione è bene osservare il silenzio in chiesa, in sagrestia e nei luoghi annessi, perché tutti possano prepararsi devotamente e nei giusti modi alla celebrazione.
La presentazione dei doni.
Terminata la liturgia della Parola, il sacerdote sale all’altare per la liturgia Eucaristica: in verità una sola è la liturgia e le due parti sono intrinsecamente unite. È bello pensare che in quel pane e quel vino che vengono presentati all’altare ci siamo noi, la nostra vita, il nostro lavoro, la fatica, le paure e le gioie; tutto quel complesso di sentimenti e di esperienze che costituiscono il nostro vissuto. Ci consegniamo a Dio perché faccia di noi quello che vuole, perché ci usi come strumento nella realizzazione della sua volontà di salvezza.
La preghiera eucaristica.
Al centro della celebrazione c’è la Preghiera Eucaristica  che inizia con un breve dialogo tra il celebrante e l’assemblea:“Il Signore sia con voi…” Comincia così una nuova grande preghiera in diverse strofe che sfocia in una preghiera di lode che proclama la gloria di Dio e di Dio solo: “Per Cristo, con Cristo e in Cristo a Te, Dio Padre Onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli!”. Qui la preghiera raggiunge il suo compimento e termina nel canto gioioso dell’Amen da parte di tutti. Amen: è così! dev’essere così! è giusto che sia così! Adesso i nostri cuori sono davvero, “in alto”, sono rivolti al Signore e lo ammirano con stupore, gioia, riconoscenza, in una tensione relazionale davvero profonda. Noi non cerchiamo più la gloria in noi stessi, nelle nostre opere, nei risultati raggiunti…
Sull’altare ci sono il pane e il vino; sono frutti della terra, quindi doni di Dio, trasformati in cibo e bevanda dal lavoro dell’uomo. Su questo cibo e bevanda viene invocato lo Spirito Santo perché diventino il corpo e il sangue di Gesù, Figlio di Dio. Ma è possibile credere una cosa del genere? Non è più ragionevole interpretare tutto come una bella immagine, come un ricordo affettuoso di Gesù da custodire con cura?
Se la Messa nascesse da una nostra iniziativa, le nostre parole riuscirebbero solo ad esprimere un desiderio di comunione con Gesù che nasce dall’amicizia per lui. Ma è Gesù stesso che, facendo la cena con i suoi amici, ha comandato: “Fate questo in memoria di me”. Noi facciamo ogni cosa in obbedienza a Gesù: per questo siamo convinti che quanto chiediamo ci viene effettivamente donato e che lo Spirito Santo opera davvero la trasformazione del pane e del vino. Ciò che i sensi percepiscono cioè le specie, rimangono ovviamente immutate: colore e sapore, qualità fisiche e chimiche del pane e del vino non cambiano. Ma cambia radicalmente la volontà creatrice di Dio rispetto a questi elementi: Dio ci pone davanti questo pane e questo vino come cibo e bevanda che sono la presenza viva, attuale, efficace del suo Figlio. La Preghiera eucaristica contiene un’ulteriore invocazione dello Spirito Santo. La prima volta avevamo invocato lo Spirito perché trasformasse il pane e il vino nel corpo e nel sangue di Cristo; adesso lo invochiamo perché operi in noi e, inserendoci in Cristo, ci faccia diventare "un solo corpo e un solo spirito". È questo, in realtà, il frutto dell'eucaristia. Gesù non ci ha dato l'eucaristia come segno statico della sua presenza in mezzo a noi, ma come forza che vuole operare in noi una trasformazione profonda e sorprendente. Quando contempliamo l'eucaristia non siamo solo davanti a una presenza da ammirare, ma a un dramma d'amore nel quale lasciarci coinvolgere per diventare anche noi protagonisti. L'eucaristia ci è donata per aprire a noi la possibilità di vivere in Cristo e quindi di diventare, in Lui, un unico Corpo,  la Chiesa, Corpo di Cristo.
Il Padre nostro.
Ed eccoci giunti all’invocazione a Dio Padre con le parole insegnateci da Gesù ”Padre nostro…”. Pronunciamo o cantiamo questa preghiera senza fretta, tendendo le mani verso l’alto, magari guardando verso l’alto, perché anche la postura del corpo e i gesti dovrebbero narrare la nostra fede.
Lo scambio  della pace.
Prima della comunione ci si scambia il segno della pace. Posto a questo punto della celebrazione, il senso è che la pace parte dall’altare (dal celebrante) per raggiungere tutta l’assemblea. Nel compiere questo gesto occorre mantenere compostezza, ordine, affinché non sia turbato il clima che deve essere di attesa della partecipazione al banchetto. A questo gesto deve corrispondere una sincera volontà di portare pace ovunque altrimenti esso diventa sterile finzione.
La frazione del pane.
Terminato lo scambio della pace, iniziamo a proclamare che il pane posto sull’altare è il corpo dell’Agnello di Dio e il Sacerdote lo spezza; non dimentichiamo che “spezzare il pane” è il nome dato dai primi cristiani all’ eucarestia: non è un gesto funzionale ma un gesto che dice il sacrificio di Cristo in Croce.
La comunione.
Noi facciamo la comunione perché siamo invitati dal Signore: “Beati gli invitati alla cena del Signore”. Accogliere l’invito di Gesù è la nostra beatitudine, è fonte della nostra gioia. È accettare di ricevere la vita da colui che, nel preparare il banchetto, ha messo tutta la sua vita.  Il pane e il vino, corpo e sangue di Gesù, sono destinati a essere il cibo e la bevanda per tutti i partecipanti alla liturgia. Meraviglioso scambio: noi diventiamo ciò che mangiamo, diventiamo il corpo del Signore. L’avvicinamento alla mensa Eucaristica deve essere una processione ordinata. Non si tratta solo di arrivare a prendere qualcosa. Stiamo rispondendo alla chiamata di Cristo, sapienza di Dio, che invita: “Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che ho preparato” (Pr 9,5). Anche la processione fa parte della celebrazione e deve essere fatta consapevolmente. Il canto di comunione (partecipato) rende questo momento più ordinato, gioioso, comunitario. Che l’ostia consacrata sia ricevuta con rispetto e dignità. Ricevere la comunione in mano è bellissimo, se questo gesto viene fatto correttamente; è banalizzare, se il gesto diventa un afferrare l’eucaristia e portarla goffamente alla bocca. (Poni la mano sinistra sopra la destra e, ricevuta l’eucaristia, prendi con la destra il Pane consacrato e portalo alla bocca. Non andare in giro per chiesa con l’eucaristia in mano. Non fare segni di croce né prima né dopo aver ricevuto la comunione. Dopo la Comunione ringrazia il Signore nella preghiera.) Cosa può capire un ragazzo della comunione se si accosta con spintoni, cercando di precedere l’altro o ridendo e scherzando? Come può un adulto vivere questo momento se  pensa a salutare qualcuno o a parlare con un conoscente? Non è questione di estetica: l’ordine serve perché l’attenzione sia diretta all’Eucaristia. A questo momento di grazia partecipano anche i tanti malati che vengono visitati nelle loro case dai ministri straordinari della comunione. Portando loro la comunione, li rendiamo partecipi della vita della comunità in modo che non si sentano soli o abbandonati.
Benedizione e congedo.
La celebrazione dell’eucaristia termina con un congedo: “La Messa è finita; andate in pace.”
Ma è davvero un congedo? La Messa continua, ma come? Usciamo di chiesa rinnovati, ma in che modo? Che cosa cambia la Messa nella nostra vita? L’eucaristia ci dona Cristo nel segno del pane spezzato e del vino versato per diventare nostro cibo e bevanda; quindi la vita che nasce dall’eucaristia è quella che si presenta come vita spezzata per diventare dono dell’amore che genera e fa vivere. Non c’è dubbio che l’amore di sé stia all’origine dell’esistenza umana stessa; ma è altrettanto chiaro che questo ‘amore di sé’ diventa umanamente maturo quando si apre al riconoscimento cordiale dell’altro, supera l’egoismo meschino e controlla le paure istintive. Su questa linea l’eucaristia provoca ad andare oltre, spinge a “portare gli uni i pesi degli altri” (cfr Gal 6,2), a “non cercare solo il proprio interesse ma anche quello degli altri” (cfr Fil 2,4) Se comunichiamo ad un unico corpo, non dovremo essere costantemente, anche tra di noi un unico corpo? Non dovremo fare corpo unico con la gente del nostro territorio? Quanta esigenza di ri-tessitura cristiana del territorio nel quale viviamo e nel quale vivono membra sparse dell’unico corpo di Cristo, che attendono forse di essere rivitalizzate, rinfrancate, avvicinate da noi! La parrocchia di pietre viventi va costruita come corpo organico, nutrita con il corpo di Cristo, senza separazioni né divisioni, senza cammini paralleli e senza percorsi autonomi!

Credo sia evidente che una celebrazione dell’eucaristia domenicale come quella che abbiamo delineato richieda un impegno non piccolo. Non ho dubbi: una Messa celebrata bene e partecipata suscita un impegno personale di preghiera e di vita; una Messa celebrata male e ascoltata passivamente prepara solo un abbandono quando la forza dell’abitudine non riuscirà più a contrastare la pigrizia, la noia, l’attrazione di esperienze diverse.
Anzitutto bisogna prevedere una preparazione della celebrazione che non lasci spazio a improvvisazioni superficiali o a sciatteria. La celebrazione è opera concorde di molte persone: il celebrante, il diacono, i ministri dell’altare, i lettori, il coro e l’assemblea; quelli che hanno pulito e ornato la chiesa, quelli che raccolgono la questua, quelli che formulano le intenzioni della preghiera universale, quelli che portano il necessario con la processione offertoriale. Una buona celebrazione richiede ciascuno sappia fare la sua parte coordinandosi con gli altri. Non si tratta di fare cose strane o gesti enfatici. La bellezza di una celebrazione si misura da quanto essa è semplice e spontanea. Naturalmente l’obiettivo fondamentale è che l’assemblea partecipi all’azione liturgica, che non assista solamente. Rispondere al celebrante, pregare e cantare insieme con gli altri, vivere con attenzione i momenti di silenzio, alzarsi in piedi o sedersi a seconda dei momenti della celebrazione sono il modo concreto in cui la celebrazione è sentita come qualcosa che riguarda noi.
Non va mai dimenticato che la liturgia è anche pedagogia per ogni cristiano: essa resta infatti il  luogo più frequentato dai fedeli come possibilità di incontro con la Parola di Dio e come  fonte della loro vita spirituale. Le iniziative che insieme prenderemo per migliorare il celebrare della nostra comunità dovranno essere come sentieri aperti, perché la grazia, sempre offerta dallo Spirito di Dio, scorra con abbondanza , accolta dai singoli e dalla comunità. L’ “Eccomi” di Maria dovrà dare tono all’ “eccomi” della nostra famiglia parrocchiale. Lei la Madre della Speranza e il nostro caro Santo, il grande Francesco Saverio, patrono delle Missioni, accompagnino il nostro cammino.

 don Francesco D’Ascoli,  
parroco


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